E’ giusto giudicare un capo di governo solo dai risultati?

6 Marzo 2021 The Ghost Writer*

Non è facile cambiare. L’uomo con la voglia sulla fronte, che credeva nell’Unione Sovietica e nel suo futuro ha indiscutibilmente segnato la storia del Novecento.  In generale i fallimenti nascono principalmente da due estremismi: dal considerarsi invincibili e intoccabili oppure dal dimostrarsi troppo lungimiranti a tal punto da non essere compresi.

Michail Sergeevič Gorbačëv ha tentato di riformare l’identità sovietica non solo dal punto di vista politico ma anche sociale, culturale, economico, individuale e collettivo. Non ha scelto di essere antagonista rispetto al comunismo, anzi il suo intento era salvarlo facendolo evolvere attraverso la perestrojka (ristrutturazione) e la glasnost (trasparenza). 

Scelse anzitutto di provare a recuperare il rapporto di fiducia verso i cittadini, spezzato da decenni di regime autoritario, ingessato e fortemente burocratizzato. Umanizzò il potere tanto da renderlo soggetto alle critiche più accese. Fu il primo passo verso una democrazia mai percepita prima. Gorbačëv era un politico e aveva il dovere di fare scelte politiche, ovvero lavorare sul piano diplomatico. Tutti ricordano la tregua nucleare con gli USA raggiunta nel 1986. Costruì un ponte di relazione con i nemici, in particolare con la Casa Bianca e l’Occidente. Ma la ristrutturazione psicologica e strutturale del Paese fu travagliata.

Ci mise passione e coraggio, il noto “programma dei 500 giorni” che puntava ad un’economia di mercato, fu una scelta transazionale, mai realmente compresa, forse anche perché non fu comunicata. Probabilmente l’idea del leader sovietico era troppo lungimirante a tal punto da apparire irriverente. Invocava un cambiamento, e cambiare spaventa. Meglio osteggiarlo che accettarlo. Il suo governo liberalizzò la produzione di beni e servizi, avviò una politica di denazionalizzazione ma, per il timore che l’inflazione influisse drasticamente sul potere di acquisto della popolazione, continuò ad imporre prezzi massimi sui beni, in linea con i decenni precedenti. Fu proprio qui uno dei peccati originali del fallimento della politica di Gorbačëv : le riforme a metà.

Per realizzare la sua idea di rinnovamento servivano due elementi fondamentali: la proprietà privata dei mezzi di produzione e il libero mercato, guidato dalla domanda e dall’offerta.  Non riuscì in questo intento, così la produzione si ridusse, anziché crescere e i sovietici ebbero la sensazione di entrare dentro un tunnel buio e freddo. Il piano fu cessato e il fallimento appannò l’immagine e la reputazione del Cremlino.

E’ innegabile quindi che Michail Sergeevič Gorbačëv rappresenti ancora oggi per il popolo russo un politico che nella sua folle idea di ristrutturare la nazione abbia in realtà acuito un disordine antropologico rendendo vulnerabile qualunque certezza, la certezza che qualcuno decida per tutti, e su ogni cosa.  E che questo sia il comportamento più giusto.

I risultati dicono che la politica dell’uomo con la voglia sulla fronte fu fallimentare. Ma è giusto giudicare l’intenzione di riformare un sistema rigido e intollerante solo attraverso i risultati? Forse quello che è mancato è stato anche un processo di comunicazione inclusiva, capace di far comprendere che i cambiamenti necessitano di tempo e soprattutto attecchiscono solo se c’è unione. Evidentemente l’avversità divisiva ha avuto la meglio. E oggi ci si ricorda di questo anziano e malato uomo come di colui che ha combattuto per la sua nazione ma allo stesso tempo contro la sua nazione.

* Articoli pubblicati su blog di Affari Italiani The Ghost Writer

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