Il progresso tecnologico deve essere accompagnato da un modello di comportamento sociale coerente e centrato su due grandi tematiche: il pensiero e la capacità di essere un sistema. Tra gli errori più comuni commessi negli ultimi anni rispetto alla conoscenza e all’uso delle nuove tecnologie, troviamo la dissociazione di pensiero, ovvero una netta separazione tra ciò che può agevolare, sistematizzare e velocizzare la nostra quotidianità e quello che attraverso la digital transformation si potrebbe generare come apprendimento e mutazione sociologica.
Questa distonia ha provocato nella nostra società un digital divide che non è solo di natura tecnologica, con una penetrazione disomogenea di strumenti e di reti, ma è soprattutto di pensiero, ancora fortemente orientato a comprendere come l’analogico possa essere compreso, gestito e governato nel suo processo di trasformazione.
Si tratta invece di una vera e propria mutazione tecno-genetica della nostra società, dove lo strumento, l’algoritmo, il dato, non rappresentano il punto di arrivo bensì l’inizio di un percorso trasformativo che conduce gli individui a pensare prima ancora che agire in modo digitale. Il blocco sociale, dunque, si manifesta prima di tutto in ambito cognitivo, con la tecnologia vista come conseguenza di un cambiamento che l’individuo è costretto ad inseguire, adattandosi all’interno di perimetri ritenuti instabili e insicuri.
Un caso emblematico di studio è legato agli effetti della pandemia nei contesti didattici: la tecnologia nelle scuole ha sempre avuto un ruolo dal carattere integrativo, capace di innalzare la capacità competitiva della formazione, ma non è mai stata riconosciuta come un sapere. Le istituzioni stanno lavorando al piano nazionale scuola digitale in cui per la prima volta si inizia a parlare di didattica integrata. La competitività del sapere è un asset fondamentale per la crescita di un Paese: oggi il sapere è un’identità democratica che non può e non deve escludere nessuno e da cui non autoescludersi.
La strada inizia ad essere tracciata, si parla di tecnosofia, di pensiero digitale allargato, superando il modello di scienza computazione che connette il pensiero umano al sistema informatico considerandoli però due entità ben separate, unite semplicemente da un modello di relazione che si traduce nell’impegno dell’uomo a pensare come una macchina e far sì che la stessa macchina pensi come l’uomo.
La vera sfida oggi è invece portare l’individuo a sviluppare modelli cognitivi e comportamentali caratterizzati dal digital thinking considerando l’innovazione il contesto e non l’effetto. In questo processo il ruolo della didattica e della formazione è fondamentale: le scuole e le università devono perseguire obiettivi che non tecnologizzano le modalità di accesso al sapere, bensì che favoriscano un sapere fondato sull’innovazione e sulla multidisciplinarietà.