Un “bel lavoro”? Istruzioni per farlo

9 Marzo 2022

 

Un bel lavoro

Cos’è e com’è oggi “un bel lavoro”? Appassionante, interessante, utile, remunerativo, flessibile?

Il tema è ampio e variegato, ed è al centro del recentissimo libro che s’intitola proprio così, ‘Un bel lavoro’, firmato da Alfonso Fuggetta, e pubblicato da Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi.

L’obiettivo e l’ispirazione coincidono con il sottotitolo: ‘Ridare significato e valore a ciò che facciamo’.

Nel volume l’autore – che è professore ordinario di Informatica presso il Politecnico di Milano, amministratore delegato e direttore scientifico di Cefriel, e membro del gruppo tecnico ‘Il digitale per la competitività del sistema industriale’ di Confindustria – approfondisce cosa può essere oggi un ‘bel lavoro’ sotto numerosi punti di vista e sfaccettature, dall’inclusione ai ruoli formali e informali, dalla crescita professionale alle contaminazioni.

Ecco alcune parole chiave, alcuni ‘ingredienti’ della ricetta giusta: apprendimento, sperimentazione, riconoscimento di competenze ed esperienze, diversificazione. E poi anche missione, realizzazione personale, remunerazione, correttezza, innovatività, relazioni.

Un ‘bel lavoro’, oggi, (perché scenario e caratteristiche sono in parte diversi rispetto a decenni fa), dovrebbe essere un mix di tutto ciò. Certo, un mix non facile da creare, trovare, vivere.
Un ‘bel lavoro’ deve permettere, ad esempio, la diversificazione delle esperienze. Talvolta a livello aziendale si considera la rotazione dei compiti come un’inefficienza, una diluizione delle competenze. In realtà, se portata avanti in modo ragionato e organico, la diversificazione delle esperienze è un bene per i singoli e per l’azienda, un arricchimento e rafforzamento, per arrivare a una figura professionale più completa.

Per quanto riguarda, invece, gli aspetti innovativi di un lavoro, si possono fare altre riflessioni e considerazioni. Molti lavoratori vedono e toccano con mano problemi e opportunità di miglioramento, hanno idee e proposte per nuovi modi di affrontare problemi vecchi o emergenti, hanno intuito possibilità di creare valore in ambiti non ancora esplorati. Per loro non è più sufficiente continuare a fare ogni giorno le solite attività in modo ripetitivo e acritico: vogliono poter contribuire con le proprie idee e proposte.

Per questo “un ‘bel lavoro’ deve anche dare spazio a creatività e innovazione”, rimarca Fuggetta, “indipendentemente dalla sua natura e finalizzazione, è un’attività dove le persone sono stimolate a innovare, a ricercare modalità inedite attraverso le quali migliorare la qualità del prodotto, del servizio e del loro stesso agire quotidiano”. E mette in evidenza: “è incredibile come troppo spesso questa elementare considerazione sia totalmente ignorata, penalizzando sia l’impresa che i lavoratori”.

Un ambiente di lavoro dove tutti possono contribuire con il proprio patrimonio di conoscenze ed esperienze non solo rende più competitiva l’organizzazione, ma rafforza e qualifica anche il senso del lavoro e la qualità della vita delle persone.

Come stimolare i contributi degli individui e la loro voglia di innovare? Al di là di singoli strumenti organizzativi – o anche tecnologici, come forum e piattaforme di Open innovation –, due sono gli aspetti principali da sviluppare: la cultura dell’eccellenza e la cultura dell’ascolto.

La cultura dell’eccellenza significa innanzitutto che non bisogna mai accontentarsi di quanto fatto, è essenziale continuare a ricercare ulteriori opportunità di miglioramento e innovazione.
La cultura dell’ascolto significa invece che la partecipazione nasce dal dialogo, dal desiderio costante di ascoltarsi e arricchirsi vicendevolmente. Non è un atteggiamento naturale né semplice da attuare. Ascoltare richiede tempo, attenzione, volontà, umiltà, pazienza. Ma anche ciò contribuisce a rendere ‘bello’ il lavoro.

L’investimento sulle persone e la costruzione della ‘Learning organization’ devono poi essere al centro della vita dell’impresa. È una decisione che richiede investimenti non solo economici ma anche e soprattutto personali, culturali, emotivi, perché rappresenti un cambiamento profondo della vita dei singoli e dell’organizzazione nel suo complesso.
Un posto di lavoro non può essere ‘bello’ se non è centrato sul concetto di Learning organization, “se non considera l’apprendimento e l’imparare continuamente come dimensioni culturali e irrinunciabili delle dinamiche e dell’essenza stessa dell’azienda” e delle sue attività.

Insomma, un ‘bel lavoro’ si può trovare e fare in un ‘bell’ambiente’, in una ‘bella società’.

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